Scoprire che il proprio figlio ha ricevuto una diagnosi di dislessia, può gettare la famiglia in uno stato confusionale, appesantito anche dalla comparsa di terminologie nuove e sconosciute come DSA, PDPstrumenti compensativi, misure dispensative… Anche soltanto pensare al termine “disturbo specifico” può provocare sconforto e paura nei genitori in primis e, talvolta, può essere davvero intollerabile accettare che il proprio figlio/a abbia un disturbo, soprattutto se il figlio/a in questione è sempre sembrato particolarmente brillante nei vari ambiti della vita, al di là delle cadute a livello scolastico.

Accettare la dislessia, dunque, non è una sfida che riguarda soltanto lo studente che ha ricevuto questa etichetta diagnostica, ma inevitabilmente costituisce una sfida anche per i genitori. E questa sfida, ben presto, andrà incontro all’ossimoro per il quale un disturbo specifico dell’apprendimento può celare comunque delle risorse, dei punti di forza. Come? Scopriamolo insieme!

Se tuo figlio ha una diagnosi di dislessia, allora è anche intelligente

Tra i vari modelli che permettono di spiegare le componenti dell’intelligenza, il cosiddetto “modello a cono dell’Intelligenza” di Cornoldi ben si presta per rappresentare come si situano i disturbi specifici dell’apprendimento all’interno del profilo neuropsicologico (Cornoldi, 2007).

Questo modello è organizzato secondo 4 fasce poste orizzontalmente una sull’altra. Le fasce poste in alto dominano su quelle poste nei livelli inferiori, per cui un deficit in una di queste fasce più alte determina, a cascata, effetti negativi sulle fasce sottostanti. In questo modello, ciò che comunemente chiamiamo intelligenza, si trova nella fascia superiore, mentre le competenze specifiche che rientrano negli apprendimenti scolastici (come ad esempio la lettura) sono situate nelle fasce più basse. Nel nostro caso, quindi, questo modello ci mostra che il disturbo di lettura (ovvero la dislessia), è una caratteristica che riguarda principalmente i livelli più bassi all’interno di questo cono e lascia pertanto inalterata l’intelligenza generale che è invece situata nel livello più alto. In sintesi quindi, la dislessia non compromette le capacità intellettive dei vostri figli anzi, per essere diagnosticati come studenti con DSA, è necessario che la loro “intelligenza” sia misurata attraverso test standardizzati e che risulti in norma.
Ricordiamoci che quando siamo di fronte a un DSA, parliamo di un Disturbo SPECIFICO dell’Apprendimento: le capacità cognitive globali sono preservate, mentre ad essere inficiate sono delle abilità più specifiche, ad esempio la lettura.

Quali risorse possono esserci nella dislessia?

Naturalmente possedere buone competenze intellettive costituisce un importante fattore di protezione negli studenti con DSA, tale da permettere di trovare soluzioni alternative, strade differenti per raggiungere uno scopo prefissato. Caratteristico della dislessia, infatti, è il pensiero divergente, ovvero la possibilità di trovare soluzioni originali, creative per far fronte alle situazioni che in ambito scolastico, lavorativo, ma anche nella vita quotidiana, si devono affrontare. Potreste rimanere sbalorditi dal numero di persone con dislessia che si sono distinte proprio grazie al loro pensiero divergente, così da produrre innovazioni di enorme portata. Un esempio? Albert Einstein!

Inoltre è caratteristico di chi presenta dislessia, la capacità di ancorare il ricordo o di comprendere appieno un concetto se fa uso di un’immagine che lo rappresenti o se lo sperimenta attraverso un’esperienza concreta. Spesso gli studenti con dislessia nutrono anche un’intensa immaginazione che, se sfruttata sapientemente, permette loro di rielaborare quello che devono imparare all’interno di una cornice di senso per loro più significativa. Infatti, se viene maturata consapevolezza rispetto a queste caratteristiche, esse possono diventare dei veri punti di forza, motivando gli studenti a trasformare il materiale che devono maneggiare nello studio (e non solo), in un qualcosa che più si confà alle loro caratteristiche. In questo modo, allora, un capitolo di scienze può essere trasformato in una mappa con colori specifici e immagini rappresentative, lo studio dell’ascesa di Napoleone può diventare un racconto di narrativa e il lessico della lingua Inglese può essere appreso utilizzando quanti più canali sensoriali possibili (ad esempio vista, udito, tatto) per rendere più incisive le informazioni da imparare.

Possiamo sostenere che la principale risorsa di un ragazzo con dislessia sia quella di poter guardare al di là della mera difficoltà di lettura, così da puntare tutti i suoi sforzi nella valorizzazione delle ottime competenze che già possiede; la famiglia detiene un ruolo decisamente importante  nell’orientare lo sguardo verso questa direzione.

Quindi come posso aiutare mio figlio con dislessia a valorizzare le sue risorse?

Abbiamo quindi chiarito come sia possibile che la dislessia conviva con un buon livello di intelligenza e come nelle persone con dislessia siano presenti innumerevoli caratteristiche che, se riconosciute, apprezzate e sapientemente utilizzate, possono diventare delle vere e proprie risorse.
Tuttavia può capitare che la vita scolastica di uno studente con dislessia presto o tardi sia posta di fronte a degli insuccessi che possono minare l’autostima, la motivazione e le scelte accademiche future. Generalmente questi insuccessi sono accompagnati da pensieri che possiamo raggruppare in 5 frasi prototipiche (Ravazzolo, De Beni, & Moè, 2005). Queste frasi però, non sono semplici parole, ma sottendono convinzioni differenti, capaci di generare poi comportamenti che possono essere più o meno funzionali per l’apprendimento. Andiamo quindi a vedere di che frasi si tratta.

Non sono fatto per lo studio di questa materia, non sono proprio portato!
Lo studente che è convinto di ciò, attribuisce i suoi insuccessi a un fattore interno a sé, ma su cui non può esercitare nessun tipo di potere. Ha accettato questa sua presunta incapacità ed è fermo nell’idea che nulla può fare per modificare in meglio i suoi risultati scolastici.

Sono andato male perché nessuno mi ha saputo aiutare, la prof non sa proprio spiegare!
Anche in questo caso lo studente ritiene quindi di non poter esercitare alcuna forma di controllo sulla sua situazione, in quanto incolpa principalmente un esterno (in questo caso l’insegnante), per lo scarso risultato raggiunto.

Con questa materia sono sempre molto sfortunato!
Anche questa convinzione cela l’impossibilità di poter cambiare il proprio risultato. Infatti la responsabilità dell’esito della propria prestazione è scaricata sulle spalle della fortuna, del caso e quindi a nulla valgono gli sforzi che lo studente può mettere in campo: è davvero inutile provarci.

La verifica era davvero troppo difficile, c’erano delle domande impossibili!
Ancora una volta si ritiene che l’insuccesso sia dovuto a un fattore esterno su cui lo studente non può esercitare nessun tipo di controllo per cambiare il suo destino.

Forse non mi sono impegnato abbastanza questa volta.”
In questo caso lo studente attribuisce il suo insuccesso a una causa interna e controllabile. L’impegno, infatti, è un fattore su cui il singolo può decidere di agire e di cui è l’unico e il vero responsabile. Pertanto l’attribuzione di un proprio insuccesso a un fattore come un impegno personale di scarso livello, è capace di generare motivazione ad impegnarsi maggiormente la volta successiva, innescando così un circolo virtuoso dove lo studente riconosce di poter esercitare una forma di controllo, al fine di modificare i suoi risultati scolastici.

Analizzando brevemente queste 5 differenti affermazioni, risulta quindi evidente quanto sia importante riflettere insieme ai ragazzi sulle cause che ritengono essere responsabili dei loro risultati poco soddisfacenti a livello scolastico, promuovendo la valorizzazione del ruolo dell’impegno personale per modificare il corso degli eventi. Ciò può essere utile per tutti gli studenti di ogni ordine e grado e non soltanto per quelli in possesso di una certificazione diagnostica. Certo è che molto spesso sono proprio i ragazzi con DSA a essere compresi a fatica dal mondo scolastico, a incassare sconfitte da parte di compagni e insegnanti (anche se sono comunque stati fatti notevoli passi avanti). Proprio per loro, quindi, può risultare fondamentale il supporto di un adulto che, in modo oggettivo, aiuti lo studente a non cadere nella trappola secondo cui il raggiungimento di buoni risultati scolastici sia per lui qualcosa di precluso, in virtù della diagnosi di DSA. Nello specifico, l’adulto potrebbe aiutare lo studente a discriminare quando un risultato poco soddisfacente sia da attribuire ad un fattore effettivamente esterno, oppure no. La difficoltà del compito, la scarsa chiarezza della spiegazione, talvolta possono costituire davvero dei fattori che sono responsabili di valutazioni insufficienti. Ma è sempre così? Sono solo i fattori esterni allo studente che gli procurano voti bassi? Talvolta, invece, può succedere che il risultato insufficiente sia da attribuire ad un impegno poco costante o inadeguato?

Per concludere: impegno e perseveranza

La dislessia comporta delle aree di fragilità specifiche, tali da poter rendere il percorso scolastico faticoso e talvolta frustrante. Al tempo stesso, però, la dislessia si manifesta generalmente in presenza di buone competenze cognitive che, se riconosciute, possono diventare straordinari punti di forza. In tutto questo, però, resta fondamentale non dimenticare nemmeno il ruolo dell’impegno personale dello studente, che nonostante le difficoltà da fronteggiare nel mondo scolastico, accende la motivazione a migliorarsi e a valorizzare le capacità già possedute. L’impegno costituisce una risorsa indispensabile, capace di modificare il corso degli eventi, a partire dall’attuazione di comportamenti concreti, funzionali allo studio, nonostante il disturbo specifico dell’apprendimento.
Infine, un’altra risorsa che non deve mancare nello studente con dislessia è la perseveranza, intesa come capacità di continuare ad impegnarsi nonostante non si arrivi immediatamente (o comunque dopo solo pochi tentativi), al risultato sperato. I genitori, insieme ai vari professionisti dell’apprendimento, infatti, possono giocare un ruolo molto importante anche in questo: supportare i figli/studenti a notare ogni piccolo miglioramento, senza dimenticare, però, che è necessario continuare a prodigarsi affinché il piccolo cambiamento diventi stabile e permetta di raggiungere i risultati sperati.

Bibliografia

Cornoldi. (2007). L’intelligenza. Bologna: Il Mulino.
Ravazzolo, De Beni, & Moè. (2005). Stili attributivi e motivazionali. Percorsi per migliorare la capacità di apprendimento in bambini dai 4 agli 11 anni. Trento: Erickson.

Contenuti a cura di Valentina Mazzanti, Laboratori Anastasis

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