E quando diventerò grande? Analisi dell’evoluzione dei DSA

Articolo del blog sull'evoluzione dei DSA
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È più semplice immaginarsi Luca che ha una diagnosi di DSA a 12 anni, a 15 anni a 18 anni… poi però come sarà quando diventerà grande e vorrà iscriversi all’Università, o partecipare al bando di un concorso per trovare lavoro? Cosa succederà? 

Il DSA è per sempre

Molte famiglie rivolgono ai clinici questa domanda: “Mio figlio da adulto avrà ancora il DSA?”. La risposta inizialmente può spaventare. Infatti i Disturbi Specifici dell’Apprendimento sono disturbi pervasivi che permangono per tutto l’arco di vita, anche se i sintomi possono, talvolta, affievolirsi. Pertanto la diagnosi di DSA di Luca, che ora ha 9 anni, lo accompagnerà sempre. Sarà, quindi, un adulto e un lavoratore con questa specifica caratteristica. Oggi Luca legge con enorme difficoltà: si stanca dopo 2 righe, gli viene da piangere, commette molti errori, fatica anche con la lettura dei numeri… Probabilmente tra qualche anno queste caratteristiche saranno più sfumate: potrà aver acquisito maggior velocità e accuratezza di lettura, potrà aver trovato le sue strategie per compensare le difficoltà. In altre parole, tra qualche anno, Luca ci sembrerà meno compromesso rispetto a come ci appare oggi e reggerà più facilmente il confronto con i suoi coetanei in termini di abilità di lettura. Tuttavia, non dobbiamo dimenticarci che il DSA non sparisce nel tempo, pertanto, per alimentare la sua capacità di lettura, anche quando diventerà grande e sembrerà meno in difficoltà di un tempo, sarà come se Luca bruciasse più energie dei pari, quindi si stancherà prima, si mostrerà più affaticato, a volte persino potrà manifestare mal di testa dopo un’intensa sessione di studio.

La diagnosi precoce di Luca versus la diagnosi tardiva di Irene

Luca sicuramente dovrà affrontare sfide scolastiche impegnative: le verifiche, gli esami di stato, il confronto con i compagni, l’estenuante trattativa su come e quando usare le mappe… Tuttavia c’è un fattore protettivo importante che gioca a favore di questo bambino: la diagnosi precoce. Le ricerche dimostrano ampiamente che più tempestiva è la diagnosi, migliore sarà la prognosi, proprio perché si attivano il prima possibile misure e attenzioni tali da supportare al meglio lo studente, prima ancora di incappare in situazioni scolastiche poco piacevoli, che possono essere lette dall’alunno stesso come enormi fallimenti. 

A questo proposito, infatti, risultano più complessi e destabilizzati il percorso e il benessere di uno studente che, a fine della secondaria di secondo grado o anche all’Università, o quando già inserito nel mondo del lavoro, scopre di avere un disturbo dell’apprendimento, come nel caso di Irene. Chi arriva a svolgere le sedute diagnostiche in questo momento di vita e riceve conseguentemente la diagnosi di DSA, spesso è una persona con risorse cognitive molto buone, che ha potuto contare su un ambiente supportivo il quale gli ha permesso di compensare, finora, le sue fragilità di apprendimento e superare, indenne o quasi, i passaggi scolastici precedenti. 

Spesso, però, sono anche adulti che hanno vissuto anni scolastici davvero molto travagliati, dove le loro difficoltà sono state lette sotto la lente della pigrizia, della superficialità e loro stessi hanno poi iniziato a pensare questo di sé. Forse una tra le mansioni più complicate, per un clinico che si occupa di diagnosi, è proprio quella di far comprendere appieno e profondamente, per la prima volta, la presenza di un DSA a uno studente ormai universitario. Irene mi ha detto: Ma com’è possibile che io sia disortografica? Se sono molto concentrata non faccio errori di scrittura: la mia è superficialità, me lo hanno sempre detto! Io sono superficiale!”. 

Chi riceve una diagnosi tardiva, inoltre, spesso è passato in mezzo a bocciature, cambi di indirizzo, torride estati trascorse tra un mare di debiti e di convinzioni svalutanti poco funzionali per avere successo a scuola ma anche, più in generale, nella vita. Proprio per questi giovani adulti è fondamentale raccontare loro anche delle risorse che sono emerse, per puntare su quelle e per rileggere la loro storia scolastica, alla luce di questa diagnosi che è comparsa solo ora, ma, in realtà, era presente da sempre. Serve dare senso a quello che è stato, ma anche congratularsi con loro per essere arrivati fino al punto in cui sono, nonostante tutto, e aver preso il coraggio di effettuare la valutazione. Ecco che, molto gradualmente, vanno guidati a comprendere, come nel caso di Irene, che gli errori ortografici non sono una manifestazione di superficialità, ma di un compito che non è stato automatizzato. Per cui se Irene pensa soltanto a quello che deve scrivere non commette errori, se invece, nel mentre, sta ascoltando quello che il professore dice o sta cercando di comprendere il contenuto, allora può dimenticare facilmente gli apostrofi, scambiare la “c” con la “q” e così via. 

Adulti e DSA: consapevolezza, organizzazione e normative

Per meglio supportare l’evoluzione degli adulti con DSA occorre quindi sempre, in primo luogo, promuovere la consapevolezza rispetto alle loro caratteristiche: punti di debolezza da compensare e agevolare, ma anche punti di forza su cui focalizzarsi e da cui partire per promuovere esperienze positive. 

In secondo luogo è fondamentale capire su quali aree è necessario un intervento specialistico. Se con gli studenti più piccoli è utile riflettere principalmente sul metodo di studio e sugli strumenti compensativi, con gli adulti diventa invece essenziale affrontare anche il tema dell’organizzazione e della pianificazione, che può riguardare esami e studio, come anche consegne e bisogni in ambito lavorativo. Capire come gestire il proprio tempo, le scadenze e le proprie energie è un passaggio fondamentale, soprattutto per gli studenti universitari, in quanto si ritrovano a dover gestire autonomamente il tempo dello studio che ora non è più scandito in modo rigoroso dall’insegnante. Quanto tempo mi può richiedere studiare per un certo esame? In quali orari rendo di più nello studio? Oppure ancora: per assecondare la richiesta del mio capo, quanto tempo mi serve per lavorare al meglio? In quali sottopassaggi mi conviene scomporre un determinato compito se vedo che per me è troppo complesso?

Fondamentale è poi la conoscenza delle norme in vigore e delle possibilità che le persone con disturbo specifico possono usufruire. A questo proposito si possono citare la legge 170/2010 e, per gli universitari,  “Linee Guida per l’Università inclusiva” scritte dal CNUDD nel 2024 che sostituiscono le precedenti del 2014 e il documento “Bisogni Educativi Speciali (BES) e Università” sempre pubblicato dal CNUD nel 2024. Ancora, importanti aggiornamenti rispetto a differenti ambiti di vita riguardanti il binomio adulti e DSA vengono forniti dall’Associazione Italiana Dislessia (AID). Prendere la patente di guida, partecipare a concorsi universitari e non, inserirsi in un contesto lavorativo, rappresentano ambiti in cui presentare la diagnosi di DSA permette di potersi avvalere di alcuni diritti. Da non dimenticare, poi, gli uffici preposti all’inclusione, presenti in ogni ateneo italiano. Essi supportano gli studenti con DSA nella preparazione degli esami e nella ricerca dei libri di testo in formati adeguati al loro profilo di apprendimento.

Per concludere

E’ necessario maturare la consapevolezza che, per quanto nulla sia semplice, molte realtà del mondo degli adulti stanno iniziando a riconoscere e, quindi, accogliere, i bisogni di studenti e lavoratori che presentano questa neurodiversità. E’ però altrettanto fondamentale che la persona con diagnosi capisca che deve essere il primo attore responsabile del suo percorso, ovvero che individui le sue strategie per meglio lavorare o studiare, che personalizzi il suo metodo senza aspettarsi che sia l’Università o il mondo del lavoro ad agire in primis. Ad ogni modo comunque, è in atto una forte campagna di sensibilizzazione a favore della diagnosi di DSA nel mondo adulto. Pertanto, senza disconoscere affatto le complesse implicazioni che essa comporta, è essenziale che studenti e lavoratori con DSA e a loro volta anche i genitori di bambini o di adolescenti con DSA, siano guidati nel raggiungimento della consapevolezza che il disturbo specifico dell’apprendimento non deve diventare la causa per desistere da ambizioni universitarie o lavorative. 

A cura di Valentina Mazzanti – Psicologa del Centro di Apprendimento Anastasis

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