Che cos’è la motivazione all’apprendimento?
La parola motivazione deriva dal latino “motus” che significa movimento, per questo viene definita come la spinta, il movimento verso un qualcosa, verso un obiettivo; quando si parla di apprendimento, ci si riferisce invece a una serie di “esperienze soggettive che consentono di spiegare l’inizio, la direzione, l’intensità e la persistenza di un comportamento diretto a uno scopo” (De Beni & Moè, 2000).
L’apprendimento è modulato da alcune variabili psicologiche, tra cui:
- La motivazione: spinta all’apprendimento.
- Le attribuzioni: processi attraverso i quali gli individui interpretano le cause degli eventi.
- Il senso di autoefficacia: percezione soggettiva di riuscire ad affrontare un compito con successo.
Tali aspetti, e molti altri, si intrecciano tra di loro andando a formare il processo di apprendimento.
Motivazione intrinseca ed estrinseca
Nell’ambiente scolastico è possibile distinguere due tipi di motivazione, che possono anche coesistere:
Le motivazioni estrinseche sono sostenute da rinforzi esterni, ad esempio avere dei vantaggi, evitare situazioni spiacevoli, compiere un’azione per essere lodati o studiare per ricevere un bel voto. Le azioni che sono mosse dalle motivazioni estrinseche si svolgono per ottenere l’approvazione sociale. Gli studenti che sono spinti da motivazione estrinseca, e quindi hanno come obiettivo del loro studio quello di mostrare le proprie conoscenze e di ottenere l’approvazione sociale, si pongono un obiettivo di prestazione, per ottenere un giudizio positivo ed evitare quello negativo. Uno studente con una motivazione estrinseca, e quindi con obiettivi di prestazione, ha paura del fallimento perché teme che questo implichi un giudizio negativo su di sé. Gli esiti negativi sono interpretati come una carenza di abilità, come la mancanza stabile di competenze per affrontare quella determinata situazione che ha avuto uno scarso risultato. La paura del fallimento può portare all’evitamento.
Le motivazioni intrinseche comportano interesse in ciò che si fa, nel senso che si intraprende un’attività perché è di per sé motivante senza pensare a ricompense o vantaggi. Gli studenti spinti da motivazioni intrinseche, si impegnano per acquisire delle nuove competenze o delle nuove conoscenze e non per ricevere una ricompensa. In questi casi si parla di obiettivi di padronanza. Questi ragazzi spesso non temono il fallimento perché la prestazione non ha una conseguenza dal punto di vista sociale e quindi non temono il giudizio negativo. Un esito negativo può essere interpretato, ad esempio, come un insuccesso dovuto ad uno scarso impegno o ad una difficoltà tecnica (ad es. una cattiva strategia di studio) che ha impedito di riuscire bene nel compito. Il fallimento può essere vissuto come un insegnamento per il futuro.
“Questo ragazzo non ha voglia di studiare!”
Ogni volta che sentiamo quest’affermazione, potremmo provare a chiederci: “Perché non ha voglia di studiare?” “Che cosa sta cercando di dirci con questa scarsa voglia di studiare?”.
Ogni persona ha un motivo per mettere in atto un comportamento e spesso capita di interpretare le difficoltà dei ragazzi con DSA come una scarsa voglia di studiare, scarso impegno e scarsa motivazione. Attenzione, non è così! A volte sono i ragazzi stessi a definire la “scarsa voglia di studiare” come un problema, e bisogna aiutarli ad andare oltre e a cercare una soluzione insieme. La letteratura dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento ha inoltre evidenziato la presenza di difficoltà riguardo al conoscere e controllare i propri processi motivazionali. Queste si manifestano con la presenza di dubbi nelle proprie capacità di riuscire in un compito e l’anticipazione del fallimento, che spingono, di conseguenza a diminuire l’impegno e la persistenza in un compito o addirittura all’evitamento dei contesti di apprendimento ed un livello basso di motivazione intrinseca rispetto ai pari. Questi vissuti naturalmente aumentano le probabilità d’insuccesso e rafforzano ulteriormente la credenza di non essere capaci.
Gli alunni con un Disturbo Specifico dell’Apprendimento hanno un deficit di automatizzazione e spesso leggono come un principiante che guida l’automobile. Proviamo a ricordare quando abbiamo imparato a guidare: ogni movimento era preceduto da un’attenta riflessione su quale sarebbe stata l’azione successiva. Quando dovevamo cambiare marcia non bastava sentire il rumore del motore che va su di giri per capire cosa fare, ma bisognava pensare che, se il motore va su di giri (probabilmente abbiamo dovuto guardare la lancetta dei giri del motore per esserne sicuri), allora è necessario mettere la marcia successiva e per farlo dovremo alzare il piede destro dall’acceleratore, schiacciare col piede sinistro la frizione, con la mano destra cambiare marcia e poi togliere il piede sinistro dalla frizione e riporre il destro sull’acceleratore, sperando che in questa successione di azioni nessuno ci abbia chiesto di cambiare canzone alla radio o nessun semaforo rosso si sia frapposto tra noi e il nostro viaggio verso casa, altrimenti sono altre sequenze di azioni da aggiungere a quella che stavamo compiendo in quel momento.
Da adulti, con qualche anno di esperienza in più, guidiamo in maniera automatica, il che vuol dire che per cambiare marcia ci basta percepire il motore che va su di giri e cambiarla, senza riflettere su cosa stiamo facendo. Un esempio per capire che non possiamo certo arrabbiarci con il principiante alla guida perché guida lentamente e mentre guida, la macchina sobbalza, Lui d’impegno ce ne sta mettendo tanto!
Proviamo a pensare la stessa cosa quando riflettiamo sulla motivazione dei ragazzi con un Disturbo Specifico dell’Apprendimento. Calandoci ancora di più nella mente di un ragazzo dislessico, possiamo pensare che mentre leggiamo questo articolo di certo non ci stiamo soffermando sul fatto che quella parola inizia con il fonema a seguito dal fonema r e poi dal fonema t e ancora dal fonema i, c, o, e infine dai fonemi l e o, ma leggiamo semplicemente articolo. Un ragazzo dislessico spesso invece deve fare questo lavoro con una lettura poco fluida e molto faticosa. Il rischio ulteriore è che si sviluppi anche il pensiero di non essere all’altezza, di essere inadeguato all’apprendimento, in difficoltà e impotente.
Questi aspetti generano quella che viene definita dalla letteratura “impotenza appresa”. Quando si parla di impotenza appresa (Seligman, 1990) ci si riferisce alla reazione di rinuncia, la risposta di abbandono che segue la credenza che qualsiasi cosa si possa fare non è importante nel determinare l’esito finale.
Molti fallimenti in età evolutiva generano quindi un’assenza di speranza che facilita la costruzione di uno stile pessimistico, il quale, se si protrae nel tempo e in molte situazioni, abbassa l’autostima e rischia di condurre a disturbi emotivi. Bisogna tener conto che i bambini con Disturbi Specifici dell’Apprendimento sperimentano spesso il fallimento scolastico e, quando questo non è compreso, sia i genitori che gli insegnanti giungono alla conclusione che il bambino è svogliato, dando così una spiegazione interna alla persona, che rischia di diventare un costrutto permanente e pervasivo.
Cosa si può fare?
Lavorare sul riconoscimento e sull’accettazione dei propri limiti e delle proprie unicità
Quando si parla di accettare i propri limiti non si tratta di arrendersi ma di cercare strade alternative. Se il ragazzo fa molta fatica a leggere un testo ma non a comprenderlo allora potrà leggerlo con le orecchie, grazie all’uso della sintesi vocale; se dopo aver letto il testo fa fatica a memorizzarlo e rielaborarlo, allora potremo aiutarlo a usare le mappe concettuali; se non riesce a ricordare le tabelline, allora potrà utilizzare la calcolatrice o dei formulari. Questi strumenti si chiamano strumenti compensativi e sono fondamentali per favorire un apprendimento di successo per i ragazzi con Disturbi Specifici dell’Apprendimento.
Rinforzare le risorse: si apprende grazie ad esperienze di successo!
Non basta trovare la strada alternativa, bisogna anche rinforzare il ragazzo quando, grazie alla sua intelligenza, al suo impegno e all’uso degli strumenti compensativi, riesce a svolgere il compito che sta facendo e ad arrivare alla meta che si è prefissato. Così da favorire la motivazione intrinseca di cui abbiamo parlato all’inizio dell’articolo. Bisogna ricordare sempre che l’apprendimento va a buon fine se le persone sperimentano di potercela fare, è grazie ad esperienze di successo che si favorisce l’autostima, l’autoefficacia e la motivazione all’apprendimento.
Se uno studente pensa di non essere capace di fare nulla, allora non farà nulla; se uno studente pensa di poter essere in grado di svolgere un compito e riceve un rinforzo rispetto al fatto che è riuscito in quello che stava provando a fare, allora la volta successiva ci riproverà e in questo modo alla fine riuscirà a raggiungere i propri obiettivi d’apprendimento. Non dipende tutto dagli studenti, bisogna ricordarsi di rinforzarli e fargli notare quello che sono riusciti a fare fino a quel momento per permettergli di andare sempre un po’ più avanti.
Introdurre un metodo di studio efficace
Per favorire la motivazione all’apprendimento bisogna fare in modo che i ragazzi abbiano chiari quali sono le modalità di studio più efficaci per loro e accompagnarli nella scoperta di queste. Quando si parla di metodo di studio si fa riferimento alla riflessione che si può fare insieme ai ragazzi su come organizzare le giornate di studio, come fare per memorizzare meglio alcuni argomenti, come affrontare una produzione scritta o un’esposizione orale o una verifica di matematica. Ogni materia richiede strategie e strumenti diversi che una volta compresi si possono generalizzare e diversificare a seconda delle diverse situazioni.
Bibliografia
- De Beni R. e Moè A. (2000), Motivazione e apprendimento, Bologna, il Mulino.
- Celi F. (2018), La psicoterapia in età evolutiva, Firenze, Hogrefe Editore.
- Seligman M.E.P. (1990), Learned optimism. How to change your mind and your life, New York, Pocket Boooks, a division of Simon and Schuster Inc. Traduzione in italiano: Imparare l’ottimismo. Come cambiare la vita cambiando il pensiero, Firenze, Giunti, 2005.
Contenuti a cura di Lucrezia Adamo, Laboratori Anastasis